Comune di Riola Sardo
Provincia di Oristano

Storia















 

Il paese di Riola Sardo fu abitato sin dall'età nuragica, come testimoniano diversi resti archeologici come alcuni nuraghi, tra i quali il nuraghe "Benatzu de sa conca de su moru" che figura nella carta catastale De Candia custodita nell'Archivio di Stato di Cagliari, il nuraghe Civas, nuraghe Predi Madau.
Le vestigia puniche nel territorio di Riola sono frequenti, intorno al nuraghe Civas si rinvengono frammenti di ceramiche, tra cui delle anfore a sacco con orlo aggettante all'interno della bocca, appartenenti al III secolo a.C.

Presso "Is ariscas burdas" sono frequentissimi i frammenti di ceramica punica e di terracotta figurata e piccole maschere femminili riferibili forse alla stirpe votiva di un piccolo tempio campestre dedicato a Demetra e Kore. Un vasto centro punico è localizzato a Sud del nuraghe Predi Madau, le ceramiche qui rinvenute si riferiscono a tipi punici e attici.

In epoca romana il territorio di Riola fece forse parte del Territorium Tharrense cui corrispondeva nel Medioevo la curatoria di "Parte pontis" o di San Marco del Sinis che si estendeva dalle pendici meridionali del Montiferru al mare sardo e comprendeva anche il territorio riolese del Sinis fino a Tharros.
L'altra curatoria, detta del Campidano Maggiore, si estendeva dal Sinis al fiume Tirso. Di quest'ultima faceva parte Riola.

Verso il 450-55 d.C. la Sardegna passò dall'amministrazione romana al dominio vandalico fino al 533 d.C., quando i Bizantini conquistarono l'isola.
I molteplici mutamenti di dominio politico non causarono immediati cambiamenti culturali ed economici. La documentazione archeologica ci dimostra il permanere nel periodo bizantino di tecniche edilizie di remota origine punica, presente in Africa e in Sardegna.

Nel tardo Medioevo Riola era una Domu, un'aggregazione rurale di proprietà laica, spesso giudicale. I due centri di Riola e San Vero maturarono la condizione di Villa nel secolo XIV.
San Vero è menzionata nelle "Rationes Decimarum Sardiniae" ed è presente all'Atto di Pace del 1388.
Riola non è segnalata nelle "Rationes" ma è presente con un suo "Majore de Villa" e gli altri rappresentanti all'atto del 1388. Le condizioni d’incertezza nella determinazione del territorio delle varie ville della zona dovettero crearsi tra il 1388 e il 1570, anno in cui è documentata la prima volta la lite tra riolesi e seneghesi. Questa situazione determinò l'interminabile "quaestio" tra riolesi e seneghesi da prima, poi tra riolesi e sanveresi.

Un'ampia documentazione relativa al periodo spagnolo c’informa delle epidemie e delle carestie diffusesi a più riprese in Sardegna. Quale dovesse essere la situazione d’insicurezza dei traffici e d’isolamento di Riola in quell'epoca ce lo lascia comprendere la risoluzione presa tra il 1586 e il 1592 dal Viceré D. Pietro di Moncalda, il quale chiese che fosse costruito un solido ponte tra la via alle saline e Alghero.

Le pestilenze continuarono a manifestarsi tra il 500 e il 600 insieme ad altri fenomeni negativi.
Nel 1647, scrive l'Angius, un immenso sciame di cavallette, portato dal vento africano, avvolse la Sardegna meridionale diffondesi in seguito nelle altre parti. Il danno che arrecarono fu incalcolabile e la provincia arborese fu una delle più colpite. Seguì subito una gran mortalità del bestiame. Ai danni causati dalle cavallette seguì una grande carestia che decimò buona parte della popolazione. Nel maggio del 1652 venne introdotta nel Regno la pestilenza. Nel 1656, cessata la pestilenza, la popolazione arborense risultò decimata. A poco a poco Riola si riebbe e nel censimento del 1698 contava 179 fuochi con 317 uomini e 283 donne (600 abitanti) contro gli 88 fuochi (circa 350 abitanti) del 1653.

Un aspetto particolare acquistano le vicende di Riola in relazione agli atti di pirateria che, ad opera di barbareschi e turchi, affliggevano non solo le terre del Sinis e dei paesi circostanti, ma spesso si addentravano nei paesi delle colline, seminando il terrore e raccogliendo innumerevoli vittime destinate alla schiavitù.
Le coste sarde erano state protette da torri fin dai tempi di Alfonso il Magnanimo, nella seconda metà del secolo XV, ma il massimo incremento a questi edifici si realizzò proprio al tempo di Carlo V. Poiché la natura delle coste del Sinis consentiva facili approdi per le imbarcazioni, le torri non riuscirono a proteggere gli abitanti dalle incursioni barbaresche.
Lo spopolamento del Sinis fu lento e inesorabile, finché nel 1767, con l'avvento dei piemontesi e l'apparizione del marchese Damiano Nurra D'Arcais, tutti e tre i campidani, compreso il Sinis, fecero parte del feudo del marchese.

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